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Luca Barbareschi, ero convinto di non arrivare a 60 anni

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Luca Barbareschi non ha mai avuto peli sulla lingua e in occasione dei suoi 60 anni, che ha compiuto il 28 luglio scorso, ha rilasciato un’intervista esplosiva.

Intervistato dal Fatto Quotidiano, il direttore artistico del Teatro Eliseo ha confermato quel che ha detto qualche tempo fa. I suoi 5 figli non vedranno un centesimo di eredità.

Sicuramente non quella economica. Non avranno un soldo e lo sanno. Hanno potuto studiare in scuole interdette al 99,7 per cento degli esseri umani, possiedono più di un passaporto, conoscono le lingue, sono svegli e colti e possono lavorare ovunque. Nella mia logica errante, ai miei figli non lascio denaro, ma le opportunità di
farsi strada nel mondo. La gente pensa che io sia ricco. Non so se lo sono stato, ma so che oggi ho messo tutto quel che avevo, ogni risparmio nel progetto dell’Eliseo. C’è un’età per ogni cosa e sento che è arrivato il momento di restituire alla comunità.

Ha spiegato l’attore intervista.

Mio padre morì proprio a 60 anni e io ero convinto che a quest’età non sarei mai arrivato. Nella vita mi sono preso sempre il lusso di dire la verità a iniziare da loro. Non gli ho nascosto niente, gli errori e le cose belle. Cosa ho scritto? ‘Ho sbagliato spesso, mi sono drogato, sono stato egoista, ma voi – aiutatemi a capire – nei miei panni, al mio posto, cosa avreste fatto?’. Vedono un padre realizzato, ma forse non sanno che sono fragile e pieno di dubbi.

Barbareschi continua a parlare dei divertimenti e gli eccessi negli Anni Settanta vissuti a New York, dove si trasferì per studiare all’Actors Studio, ma anche del ’68 vissuto a Milano.

La droga l’avevo incontrata prima. A Milano girava di tutto. Lsd, mescalina, cocaina, fumo. E noi tutti, come idioti, a drogarci pensando di essere eversivi. L’eroina te la regalavano. Dei miei compagni di liceo in sei morirono di overdose. La borghesia milanese abdicò al proprio ruolo. I padri assenti e i danni del post ’68 fecero il resto. Non c’era più nessun filtro tra genitori e figli, le grandi famiglie ricchissime e borghesi di Milano aprivano le loro magioni al mare o in montagna e noi ci fiondavamo nei lettoni delle madri e delle figlie, in barca o in baita, per farci le canne insieme, fruire di qualche vacanza a costo zero, trombare le ragazze più fighe del Movimento che ovviamente per sentirsi evolute militavano a sinistra, osservare da vicino il rincoglionimento progressivo di un potere che un tempo aveva retto le sorti finanziarie dell’Italia.

E non manca una parola su tutto e tutti: su Dino Risi (“Il più simpatico, il più risolto”), su Vusconti (“Il più cattivo”), su Walter Veltroni (“Un politico senza talento cinematografico”), su Giancacomo Feltrinelli (“Un genio, ucciso dal Mossad”).
 

Sono un vecchio socialista. Un craxiano. Uno che sognava di pagare le tasse e vedersi restituire qualcosa. Dare del fascista a chi esce dal coro è un vecchio trucco che con me non ha mai attaccato. I moralisti sono i peggiori.

Resta da antologia il racconto sulle dinamiche di Something Good, film che avrebbe dovuto partecipare alla mostra di Venezia nel 2013 e che Alberto Barbera scartò.

LUCA BARBARESCHI, HO ABUSATO DI SESSO, ALCOL E DROGHE


Something good avrebbe dovuto essere a Venezia, ma venne rifiutato. La lettera protocollata di Barbera su carta intestata della Biennale la conservo ancora. Legga: “Il tuo film è rimasto in una short list di film preferiti… Poi, scelte drastiche si sono imposte, e non facili. Sia il numero limitato di posti a disposizione, sia per la stima – e, in qualche caso – l’amicizia nei confronti degli autori”. L’amicizia. Capisce? Alzai il telefono e chiamai Barbera: “Portatore sano di forfora – urlai –, quando te ti facevi le seghe a Torino, io chiavavo Naomi Campbell, pippavo con Lou Reed a Kansas City, aravo con il c…. il mondo e guadagnavo miliardi, hai capito? Non voglio essere amico tuo, testa di c…”.

Ha concluso Luca Barbareschi che ha anche elogiato l’intelligenza della Ferilli e che continua ad essere orgoglioso di aver sempre parlato con sincerità.

Photo Credits | Getty Images

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